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«Pasce oves meas», manifattura fiamminga, bottega di Pieter van Aels su cartone di Raffaello e bottega

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«Pasce oves meas», manifattura fiamminga, bottega di Pieter van Aels su cartone di Raffaello e bottega

IL MUSEO INFINITO | La Collezione di Arazzi

Storia, opere e luoghi dei Musei Vaticani, a cura di Arianna Antoniutti

Alessandra Rodolfo

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In questo viaggio nel «Museo infinito», Alessandra Rodolfo, curatore del reparto per l’arte dei secoli XVII-XVIII, e del reparto arazzi e tessuti dei Musei del papa, illustra la collezione di arazzi vaticana.

La collezione di arazzi vaticana, che consta di circa 250 panni solo in parte esposti, affonda le sue radici lontano nel tempo. Le prime notizie della presenza di arazzi presso la corte papale risalgono, infatti, al pontificato di Martino V (1417-31), quando arrivò in dono al papa da Filippo il Buono (1396-1467), duca di Borgogna, una serie di sei panni con le Storie della «Vita di Maria»; ma sarà solo qualche anno dopo, sotto Niccolò V (1447-55), che iniziò a svilupparsi un continuativo gusto verso tale genere di prodotti tessili, concretizzatisi in commissioni o acquisti di panni che andarono a costituire il primo nucleo della collezione.

La raccolta continuò ad ampliarsi negli anni successivi come racconta un inventario del 1518-21 redatto sotto il pontificato di Leone X (1513-21), miniera preziosa di informazioni che sintetizza la storia della collezione fino a quel momento sottolineando la necessità della loro cura, che richiederebbe la presenza costante di un «forarium magistru» e di un «sartore» che lavorassero continuativamente per provvedere alle riparazioni, sconsolato quanto attualissimo appello all’importanza della manutenzione. L’attenzione e la cura dei preziosi panni da parte dei pontefici, d’altronde, fu sempre una costante documentata nel tempo che perdura ancora oggi grazie all’attività del Laboratorio di Restauro Arazzi e Tessuti che nella sua doppia sede, quella più antica ubicata nella città leonina e quella più recente all’interno dei Musei Vaticani, insieme con il Reparto Arazzi e Tessuti continua a manutenere i preziosi panni.

L’epicentro della collezione è senz’altro costituito dai celeberrimi arazzi degli «Atti degli Apostoli» oggi esposti, impreziositi da una nuova illuminazione, nelle vetrine del salone di Raffaello della Pinacoteca Vaticana insieme all’antico panno dell’«Ultima Cena», raffinatissima copia in seta e oro del «Cenacolo» leonardesco, giunto nelle collezioni vaticane nel 1533 come dono di Francesco I re di Francia a papa Clemente VII in occasione del matrimonio della di lui nipote Caterina dei Medici con Enrico II, futuro sovrano di Francia.

I dieci arazzi realizzati tra il 1516 e il 1521 sui cartoni di Raffaello a Bruxelles nella bottega dell’esperto tessitore Pieter Van Aelst su commissione di Leone X Medici furono concepiti per ornare la parte inferiore delle pareti della Cappella Sistina, là dove nel febbraio 2020 sono tornati per una settimana suscitando l’ammirazione del mondo a riprova della piena riuscita del progetto. Atlantici nel formato, ricchi di filati d’oro e d’argento, gli arazzi raffaelleschi con le «Storie di san Pietro e san Paolo», campioni e testimoni di fede, animati da figure monumentali ed eroiche, deflagranti per la loro novità che portava la classicità e l’estro raffaellesco nell’arte congenere dell’arazzo, non solo diede un nuovo corso all’arte europea ma avviò una straordinaria stagione di commissioni papali in terra fiamminga.

Il fortunato e riuscito esperimento degli «Atti degli Apostoli» dovette, infatti, stimolare e incoraggiare papa Leone X e dopo di lui Clemente VII che negli anni successivi procedettero a commissionare alla bottega di Pieter van Aelst una vera e propria ondata di nuovi prodotti legati al nome di Raffaello che, innovatore incredibile e rivoluzionario nel recupero dei modelli dall’antico e dal moderno, avviò una profonda rivoluzione nell’arte dell’arazzo.

L’impressione che si ricava sfogliando gli inventari di Floreria del XVI secolo è che il gusto e il «lusso» dei pontefici siano stati affidati, più che ai dipinti mobili e alla grande decorazione parietale ad affresco utilizzata per arredare «luoghi nobili» di dimora privata e di rappresentanza, ai tessuti e agli arazzi, manufatti duttili e trasportabili, utilizzabili per scaldare e arredare gli ambienti ma anche e soprattutto per le cerimonie fuori e dentro il palazzo. Gli inventari raccontano fin dall’origine di un magazzino di Floreria stipato di tessuti e arazzi da tirare fuori all’occorrenza, di stoffe per ornare gli ambienti, di panni ad arazzo atti a coprire intere pareti, trasformati in pale d’altare, letti e baldacchini cerimoniali.
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Costosi e magnifici i «panni di razza» coniugavano lusso e ostentazione con tradizione e religione, utilizzando la ricchezza e il bagliore dei filati di seta, d’oro e d’argento a gloria del pontificato e del suo credo religioso. «Veicoli mobili» di iconografie, documento d’elezione, come pensava Aby Warburg, per elaborare una Kulturwissenschaft, veri e propri manifesti pubblici, pratici e replicabili, gli arazzi divenivano, in cerimonie e pubbliche processioni, propaganda, racconto, testimonianza di fede.

Persi molti dei prodotti raffaelleschi dai «Trionfi degli Dei» ricchi di grottesche destinati probabilmente a ornare la Sala dei Pontefici dell’appartamento di papa Alessandro VI Borgia ai «Giochi di putti» realizzati per impreziosire il basamento della sala di Costantino, rimangono a testimonianza di questa stagione d’oro la serie della «Vita di Cristo» anche detta della Scuola Nuova e il baldacchino di Clemente VII, straordinari prodotti nati nel seno della scuola raffaellesca.

La serie della Scuola Nuova è esposta nella maestosa Galleria degli Arazzi sede privilegiata per l’esposizione degli antichi tessuti decorata sotto Pio VI da Bernardino Nocchi e Domenico del Frate che dipinsero la volta con exempla virtutis di imperatori a celebrazione della figura del pontefice. La serie realizzata su disegno degli allievi di Raffaello fu creata, come chiariscono alcuni documenti da me recentemente rintracciati, per l’altra cappella papale, la cosiddetta cappella parva oggi scomparsa, un tempo ubicata nel cuore del Palazzo Apostolico di fronte alla Cappella Sistina. Si tratta di dodici arazzi, tessuti anch’essi a Bruxelles sempre nell’atelier dell’arazziere Pieter van Aelst tra il 1524 e il 1531, anno in cui giunsero a Roma e furono giudicati dai due ricamatori preposti alla stima non solo ben fatti ma addirittura lavorati meglio e più ricchi di oro e seta degli arazzi con gli «Atti degli Apostoli».

I dodici panni, unici poiché mai replicati, possono essere divisi in due gruppi: il primo, utilizzato un tempo in occasione delle feste natalizie, dedicato agli episodi dell’infanzia di Cristo («Adorazione dei pastori», «Adorazione dei Magi», «Circoncisione» e «Strage degli Innocenti» composta da tre pannelli), il secondo, esposto in occasione delle festività pasquali, agli eventi avvenuti in seguito alla Crocifissione che non compare nella serie («Resurrezione», «Cristo al Limbo», «Noli me tangere», «Cena a Emmaus», «Ascensione», «Discesa dello Spirito Santo»).

Nella stessa Galleria è, inoltre, esposto un altro raffinato prodotto di ambito raffaellesco, l’«Incoronazione della Vergine» dono a papa Paolo III del cardinale Érard de La Marck, noto collezionista di arazzi, principe e vescovo di Liegi dal 1506 al 1538. La composizione riprende una stampa del Maestro del Dado, incisore attivo dal 1530, realizzata probabilmente su un disegno raffaellesco.

Ancora al Cinquecento risalgono altri due arazzi della stessa Galleria: «San Pietro che converte il centurione Cornelio» giunto per lascito testamentario del cardinale Agostino Trivulzio a papa Paolo III tessuto probabilmente a Bruxelles su cartone eseguito a Roma e la «Morte di Cesare» raffinato prodotto uscito dai telai brussellesi su disegno di Pieter Coecke van Aelst intorno al 1549, parte di una serie con le «Storie di Giulio Cesare» acquistata da papa Giulio III nel 1555.
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Passando al Seicento, il secolo barocco è testimoniato da numerosi panni eseguiti nell’arazzeria Barberini nata nel 1627 per volere del cardinale Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII, che veniva ad esaudire il desiderio in animo dei pontefici fin dal XV di avere un’ arazzeria romana. La fabbrica ottemperò per un certo periodo alle esigenze del pontefice e della sua corte realizzando una serie di pale d’altare, ancora oggi nelle collezioni vaticane, da esporre in Cappella Sistina. L’esecuzione dei modelli e dei cartoni dei pregiati arazzi fu commissionata ad uno dei maggiori pittori dell’epoca, Pietro da Cortona, che, insieme con la sua cerchia, divenne punto di riferimento fondamentale della nuova arazzeria.

Il prodotto più famoso della manifattura sono i dieci panni visibili oggi nella Galleria degli Arazzi, siglati dalle api Barberini, marchio della fabbrica di famiglia, raffiguranti gli episodi salienti della «Vita di papa Urbano VIII Barberini», realizzati dopo la morte del pontefice tra il 1663 e il 1679, quale omaggio del nipote Francesco alla memoria dello zio morto nel 1644. Le composizioni mescolano abilmente personaggi ed eventi storici con figure simboliche e allegoriche allo scopo di glorificare il pontificato Barberiniano.

Di Urbano VIII ripercorrono così i momenti importanti della vita: dal suo addottoramento presso l’Università di Pisa ai suoi primi incarichi in curia, la sua ascesa al cardinalato e al soglio pontificio di cui è illustrato il momento della conta dei voti durante il conclave, al periodo di regno narrato tramite gli eventi più significativi quali la «Consacrazione della nuova Basilica di San Pietro» o la «Conclusione della Pace in Italia». La serie, vero e proprio documento storico, si conclude con il trionfante arazzo esposto nella Galleria di san Pio V, raffigurante «L’omaggio delle Nazioni» in cui il pontefice in trono è adorato da una lussureggiante folla di personaggi storici e figure allegoriche.

Il progetto generale della serie fu supervisionato da Pietro da Cortona che morì durante la tessitura e a cui gli successe Ciro Ferri, uno dei suoi allievi più famosi, mentre i cartoni furono realizzati da un gruppo di artisti della sua cerchia quali Antonio Gherardi, Fabio Cristofani ed altri. Furono due donne a dirigere le operazioni di tessitura: dapprima Maria Maddalena Della Riviera, figlia di Giacomo della Riviera, nome italianizzato di quel Jacob van den Vliete proveniente da Oudenaarde, importante centro di produzione arazziera delle Fiandre orientali al quale Francesco Barberini aveva affidato l’arazzeria; e Anna Zampieri, che subentrò nella fase finale dei lavori alla morte di Maria Maddalena avvenuta nel 1678.

La serie fu l’ultima importante realizzazione della manifattura che scomparve alla morte del cardinale Francesco. I telai furono venduti per ricavarne legname mentre e i poveri arazzieri «trovandosi senza impiego andarno quasi mendicando», racconta costernata una relazione dell’epoca. Il sogno del cardinale si era purtroppo infranto ma non il desiderio dei pontefici di avere una produzione propria. Un tale «nobile impiego» non poteva morire.
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Il testimone passò qualche anno dopo, grazie all’illuminato Clemente XI Albani, alla Manifattura di san Michele, sorta nell’omonimo ospizio dove già esistevano un lanificio e una tintoria. La nuova fabbrica venne affidata alle cure del parigino Jean Simonet, «egregio tessitore di arazzi» affiancato da Cesare Procaccini, allievo di Carlo Maratta, in qualità di soprintendente pittore di cartoni. Dai telai della nuova manifattura, nata dunque con l’intento di soddisfare le esigenze del papato con cui mantenne un rapporto privilegiato fino al 1870, uscirono: nuovi arazzi da utilizzare come pale d’altare, eseguiti su cartoni degli allievi di Carlo Maratta da soggetti del maestro; arazzetti di piccolo formato copie da dipinti antichi da utilizzare come doni diplomatici; e repliche di antichi arazzi da esporre nelle cerimonie al posto degli originali.

È questo il caso della reolica dell’«Ultima Cena» tessuta da Felice Cettomai su cartone di Bernardino Nocchi, utilizzata ancora nell’Ottocento, prima della sua musealizzazione, in sostituzione dell’antico panno cinquecentesco durante l’importante cerimonia del Corpus Domini e in occasione della Lavanda dei Piedi, rituale antico che si svolgeva nella Sala Ducale del Palazzo Apostolico. Copiato fu anche il baldacchino di Clemente VII adoperato ancora nel Novecento durante le cerimonie papali.

In ultimo tra i numerosi esemplari non esposti meritano menzione tre raffinatissimi arazzi fiamminghi a soggetto sacro di piccole dimensioni eseguiti probabilmente a Bruxelles tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento come paliotti o pale d’altare, tra cui spicca il bellissimo «Grappolo Mistico» cosiddetto dalle iscrizioni nei cartigli dei profeti che rimandano al delicato gesto del Fanciullo divino colto nell’atto di spremere il frutto quale prefigurazione della sua futura Passione.

IL MUSEO INFINITO
Un viaggio dentro i Musei Vaticani accompagnati da guide d’eccezione: i curatori responsabili delle sue collezioni
A cura di Arianna Antoniutti

«Grappolo mistico», Scuola fiamminga, sec. XV

«Maffeo Barberini eletto papa» dalla Serie della Vita di Urbano VIII, Manifattura Barberini, cartone Fabio Cristofani, arazziere Maria Della Riviera

«Adorazione dei Magi», Serie della Scuola Nuova con episodi della Vita di Cristo

Alessandra Rodolfo, 26 luglio 2023 | © Riproduzione riservata

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